Un giorno mi invitano ospite in televisione. Io vado lì, ti mettono nel tuo stanzino del collegato, quando fai il collegamento. In pratica, ti parcheggiano davanti a una telecamera, in uno studiolo, spesso uno studio anche piccolino.
Penso che era il periodo di Sky Tg24 a Cologno Monzese. Era proprio una specie di loculo freddo, dove stavi lì con la telecamera, e poi la regia ti parlava tramite un auricolare. A sto punto aspetti e ti guardi la “messa in onda” cosiddetta.
Cioè quello che sta andando in onda al telegiornale, in quel caso. La cosa che mi è sempre rimasta impressa è che a un certo punto fanno un collegamento con un giornalista alle prime armi. Il cronista si collega, e i conduttori dicono: “Pippo, allora, dicci tutto sugli ultimi aggiornamenti di questo caso.
” “Dove sei andato a investigare…” Lui prende il microfono con grande sicurezza e parte così: “Eeeee…” Panico. Questa cosa va avanti qualche secondo e, ogni secondo in televisione, è un’infinità. Dopo cinque, sei secondi, che sembra poco ma è tantissimo.
I conduttori, vedi che iniziano a sgomitare. La camera ripassa sui conduttori, dicono pippo: “Allora, tutto ok? ” E lui proprio non riesce a parlare, è completamente paralizzato.
Dopo 12 secondi i conduttori, astutamente, lo tagliano “abbiamo un problema di collegamento” e passano oltre. Classico caso di paralisi, panico da telecamera, in quel caso. Ed è un’ansia, quella del parlare in pubblico, che forse abbiamo un po’ tutti.
Magari ce l’hai avuta anche tu in passato, durante un evento, durante una riunione, durante un qualsiasi momento di comunicazione all’esterno di quello che volevi dire, e ti sei impanicato. Allora, in questo video, volevo riassumere i miei due centesimi, i miei due satoshi,rispetto al tema della comunicazione in pubblico, di quali sono alcune cose da non fare. Errori brutti che ho visto in questa vita di eventi, comunicazione in televisione, radio.
Ho fatto un sacco di roba effettivamente, in questi anni, che riguarda il public speaking e la comunicazione. Poi magari qualche consiglio su come potersi migliorare. Shall we begin?
Partiamo dall’ansia. L’ansia è un problema che abbiamo tutti, e quando vedo qualcuno che ha problemi a parlare davanti a una telecamera, ad esempio a parlare a un evento, lo vedi proprio teso, nervoso. Negli anni, ho moderato una marea di eventi, e tu lo vedi l’ospite che arriva e trema proprio prima di essere sul palco.
Anche persone che hanno una carica incredibile, sono amministratori delegati, sono anche dei personaggi noti, alcuni proprio tremano. Li vedi che sono lì, che si stanno cagando addosso prima di salire sul palco, e tu, in un qualche modo, fai lo psicanalista e cerchi di tranquillizzarli, di dargli una mano per cercare di metterli a loro agio. E poi magari superano quest’ansia, un po’ l’effetto dell’acqua ghiacciata.
Questo “gasp effect” hai presente quando entri nell’acqua super fredda e non riesci a controllarti? A quel punto, poi, questo problema, il parlare in pubblico, è un po’ la stessa cosa. Una cosa che però si sottovaluta e che è assolutamente normale, è normale essere tesi, nervosi.
Io lo sono prima di parlare, in qualunque contesto, anche, non lo so, alla fiera della porchetta, che siamo in tre. Oppure se c’abbiamo una call con cinque persone su Zoom, ugualmente, prima di cominciare, sono sempre un po’ teso, un po’ nervoso. Non è una cosa che ti passa mai.
Anzi, il giorno in cui ti passa e entri proprio spavaldo, non è il massimo. Come dire: “Scendo in campo così, ma chi se ne fotte. ” No, no, no, c’è quella sana tensione di cui hai sempre bisogno.
E la gestione di quell’ansia, di quel panico, di quella paura, di quel terrore… Per alcuni è quello che fa la differenza: come fai gestirla? Questa è la domanda. Permettimi di dirti: un grande punto di svolta è avvenuto quando ho capito che questo tipo di nervosismo terrorifico è fisico, non è mentale.
È fisico, cioè lo controlli fisicamente. Per un sacco di tempo avevo cercato di ragionare mentalmente, psicologicamente, su come cercare di cambiare il mio stato d’animo terrorizzato. Cercavo mentalmente di avere tutta la mia routine per rimettermi in una situazione mentale migliore.
È molto più facile e immediato il controllo tramite qualcosa di fisico. Il fisico, per me, è la respirazione. Nel momento in cui respiri bene, fai tre bei ‘respirozzi’ prima di salire su un palco, banalmente, super semplificando.
Ricordiamoci che parlare in pubblico è una competenza che si studia. Qua in Inghilterra viene insegnata ai ragazzi nelle scuole. Negli Stati Uniti insegnano public speaking sin da quando sei bambino.
In posti magari come l’Italia… Invece, chissà perché, si dà per scontato che uno imparerà a parlare. Però no, è una tecnica. Non è che quando uno ti dice: “Devi essere te stesso”, sia un consiglio valido.
Lo danno spesso in televisione: “Vai e sii te stesso. ” È come dire: “Vai e sii te stesso su un campo da tennis. ” Poi non hai mai giocato a tennis.
Non hai tecnica. Non ti hanno insegnato niente. Vai e sii te stesso.
Ridicolosamente. Farai ridere sul campo da tennis, perché il “te stesso tennistico” non sa giocare. Il public speaking è la stessa cosa.
Tu devi studiare. Apro parentesi: un enorme grazie alla mia mamma. Tu dirai: “Vabbè, la mamma va sempre ringraziata,” e sono d’accordo con te.
Nel mio caso, però, ho avuto un enorme vantaggio: avere mia mamma che ha portato il public speaking in Italia, per il primo Centro Studi Comunicazione, tanti, tanti anni fa. Tuttora forma sui temi della comunicazione e del public speaking. Per osmosi e contatto continuo, inevitabilmente, mi sono respirato quest’arte, questa scienza del public speaking, e l’ho sempre vista con un occhio diverso…e non con un occhio semplicemente vai a dire: sì, dire due parole.
Ci sono un sacco di tecniche, di roba da studiare. Ma per quello che riguarda l’ansia e la paura, appena sposti la tua concentrazione da mentale a fisico, ti aiuta un bel po’. Un bel po’.
Chi è che dice, il solito Tony Robbins, immagino, una frasetta vecchia: “Motion creates emotion. ” Il movimento fisico crea l’emozione. Adesso la traduco male, però fisicamente la tua postura impatta tantissimo su qual è il tuo stato mentale.
È un po’ come dire: vai in palestra. Vai in palestra e devi fare bench press, la panca. A quel punto, fisicamente, devi essere pronto ad affrontare un peso.
Cioè, devi prendere e sollevare un peso. Non è che puoi andare lì con la manina flaccida, sciolta, e dire: “Vabbè, adesso solleverò il mio peso. ” No, non funziona così.
Fisicamente devi esser pronto. E la stessa cosa devi fare per affrontare il peso della pressione comunicativa, del nervosismo, e devi essere pronto fisicamente. Respirazione e postura aiutano un sacco.
Un’altra cosa che personalmente mi ha sempre aiutato è quella di non pensare al parlare in pubblico o parlare a un pubblico, ma parlare con un pubblico, che sembra una supercazzola. No, va bene così. C’è una enorme differenza.
In genere, tu guardati in giro. Vai a un evento o guardati in giro: quando una persona parla, sono tutti che cercano di parlare a un pubblico, sono concentrati su di sé, e fanno il loro monologo. Sono loro i protagonisti.
Invece, non cercano di avere una conversazione. Dove parlano con un pubblico. Il pubblico fa parte della conversazione, il pubblico fa parte del discorso che vuoi fare, della presentazione che vuoi fare.
Questo per me è sempre stato di grande aiuto, perché sposta anche il tuo livello di pressione. Non sei da solo. Siamo lì in due: sei tu e il pubblico a creare quel momento.
Sembra una cazzata, però sai, fa tutta la differenza del mondo. È un po’ come quando sei nel traffico e pensi: “Ecco, lì c’è il traffico. ” Oppure pensi che tu sei parte del traffico.
Sei anche tu il traffico. Non è che tu sei lì un osservatore, sei lì con la tua macchinina. Sei tu parte, colpa tua, il traffico.
Fa la stessa cosa. Mi rilassa molto. Mi fa pensare che siamo lì insieme.
Non sto parlando a un pubblico, sto parlando con un pubblico, e questo toglie anche quella aspettativa di performance. Hai presente quando parli a un pubblico? È un po’ come se nella tua testa scatti uno switch: passi in modalità Fiorello, Bergonzoni, e boom!
Allora, visto che parlo in pubblico, devo performare. Devo intrattenere, devo essere brillante, devo fare un grande monologo, avere una citazione pazzesca, la battuta che colpisce. Per una persona normale, è un casino.
Perché quando tu vedi Rosario, Bergonzoni, questi sono dei fenomeni: lo fanno da anni, hanno grande tecnica ed è il loro mestiere. È ovvio che parlano bene, sanno intrattenere, eccetera, eccetera. O anche quando guardi i grandi oratori: se vedi il Barack Obama di turno, Jon Stewart (che è americano, secondo me bravissimo come comunicatore), e via dicendo, è gente che di mestiere fa quello.
O uno stand-up comedian ti fa ridere, ma quel monologo di un’ora l’ha provato per un anno. Il Kevin Hart di turno ci mette un anno ad arrivare, a preparare il monologo, e ogni minuto di quel monologo è curato nei dettagli. Ci metti un sacco di tempo.
Allora, uno si dimentica il lavoro che c’è dietro e pensa: “Ah, è solo uno che parla. ” E sembra facile, ma non è facile. Lo sai come si dice: “È semplice, ma non è facile.
” Ok, vediamo cosa peggiora la situazione a livello di nervosismo e pressione. Un primo errore che fanno tutti, purtroppo, ed è da cancellare prima possibile, è quello di cercare di sembrare qualcun altro. Ricordo sempre una famosissima presentazione (di cui non citerò né l’azienda né il relatore).
Il relatore sul palco doveva presentare un nuovo prodotto, un gadget tecnologico. Mi ricordo che entrò sul palco vestito come Steve Jobs. Uguale.
E tu dici: “Ok, ma non è Steve Jobs. Non ci assomiglia neanche un pochino. ” In più, aveva questa specie di lupetto alla Jobs, però lui c’aveva un po’ di panzetta.
Per cui lo vedevi col profilo e sta panzetta in evidenza, e già quello, non so, era una silhouette che ti lasciava un po’ perplesso. A quel punto svela il prodotto magico e fa lo stesso gesto alla Steve Jobs quando presentava l’iPhone o l’iPod. In quel caso voleva fare anche lui la sorpresa di tirar fuori… Hai presente quando Jobs tira fuori l’iPod dalla tasca dei jeans?
Ecco, lui prova a tirar fuori sto oggetto. Il problema è che era un po’ troppo grosso, quindi si era incastrato, ed è stato lì che non riusciva a tirarlo via. Sembrava quando Anastasia e Genoveffa provano la scarpina per vedere se il loro piede “ci deve entrare".
Era un po’ una scena così. Il problema, a monte di questa vicenda, è che lui, al posto di provare a dire: “Sai cosa? Cerco di essere me stesso, cioè mi preparo, studio bene e poi cerco di trovare la sua unicità”, la sua autenticità, che magari era l’opposto di Steve Jobs.
Non è che devi essere Steve Jobs per comunicare. Puoi comunicare in miliardi di modi diversi. Tra parentesi, se ti interessa il tema comunicazione, oltre al libro (ovviamente) di mia mamma, è molto bello.
Per chi inizia a parlare in pubblico e con il pubblico. Hai dei libri di Carmine Gallo, ad esempio, o i libri di Garr Reynolds, o il libro di Chris Anderson (il curatore del TED). Insomma, ce ne sono diversi.
Anche Nancy Duarte, per le presentazioni e le slide, eccetera eccetera. Quindi, se ti piace l’argomento, poi te lo approfondisci: hai 1. 000 spunti che puoi prendere.
Ci sono un sacco di video su YouTube, blablabla. Errore numero due da evitare: la lettura delle slide. Nel mondo aziendale, spesso un signore arriva, parte con le slide, col suo pointer, e inizia a leggerti le slide.
Cinquanta slide, e lui ti legge parola per parola. Questo è un problema, perché da un lato denota una chiara insicurezza. Siccome sono nervoso, allora mi rifugio nella lettura delle slide.
Così, sto leggendo. Non puoi dire niente. Però, siccome in generale il relatore medio non è Pino Insegno (che legge alla grande e potrebbe leggere anche l’elenco telefonico facendolo sembrare una canzone), il relatore medio è uno che legge anche male.
Tu sei lì, che dopo la quarta slide vuoi solo morire. Come si dice? La morte da PowerPoint è quella roba lì.
La lettura delle slide è quasi grottesca e anche molto goffa, spesso perché nella slide magari c’è la slide introduttiva col nome e cognome del relatore, e tu hai questo che legge e dice: “Buongiorno, io mi chiamo Marco Mo. . mo.
. ntemagno …Montemagno. ” Il tuo nome.
Almeno potrai non leggere quello? La lettura delle slide sposta completamente l’attenzione. È un po’ come se un cantante arriva sul palco e poi si mette a leggere la canzone perché non si ricordava le parole.
Questo stacca completamente il rapporto con il pubblico. Altra cosa che denota nervosismo (ma è anche una tecnica inconsciamente utilizzata per risolvere il problema della pressione, della paura di parlare in pubblico) È quello di parlare molto veloce: “Bla bla bla bla bla. ” Parlare così.
Lo so perché io, di natura, parlo molto veloce, e rallentare nei momenti importanti, o avere delle pause, l’ho sempre trovato molto difficile. Qual è il problema dei parlatori veloci, come me? Che a un certo punto tutto quello che dici ha la stessa importanza, perché è tutto detto nello stesso modo, con la stessa velocità, e soprattutto non dai tempo alle persone di riflettere.
Se tu dici una cosa importante, ci deve essere una pausa. Non ho detto nessuna cosa importante in questo caso, però una pausa ti dà un momento per dire: “Aspetta, cos’è che mi hai detto? Fammi capire.
” Il tuo ragionamento arriva dopo, perché quello che parla sa già cosa sta per dire, ma io lo devo capire, immagazzinare, comprendere, e poi dire: “Ok, passiamo oltre. ” Mi devi dare il tempo. Le pause sono importanti.
Visti gli errori da non fare. Proviamo a vedere qualche suggerimento, consiglio. Con questa doverosa premessa: qui non si tratta, come in qualunque competenza, di imparare dei trucchetti o delle scorciatoie.
I trucchetti, le scorciatoie, non portano da nessuna parte. Come il mio insegnante di scacchi, Pierluigi Piscopo,lui dice sempre: “Se tu vuoi migliorare a scacchi, non serve a nulla che impari l’apertura segreta dell’hokuto nanto, che vinci in tre mosse. ” Devi diventare uno scacchista.
Devi sviluppare un pensiero scacchistico, e a quel punto gestire le diverse situazioni. Anche perché, se impari solo scorciatoie, magari ti trovi bene in un contesto molto preciso, magari ti va anche bene in quell’evento preciso che hai preparato solo in quel modo lì. Ma poi, in ogni altra situazione in cui ti trovi a comunicare, è un disastro.
Qui si tratta di migliorare quando parliamo con il pubblico. Questo è un po’ il concetto. In questo senso, un accorgimento utile per gestire meglio la nostra ansia da palcoscenico, qualunque sia il palcoscenico, è quello di tenere sempre a mente il fatto che chi ci sta ascoltando spesso non è minimamente interessato a quello che diciamo.
La nostra paura principale è il giudizio degli altri. Questo lo sappiamo. Tu parli davanti a un pubblico e pensi: “Adesso cosa diranno?
Diranno che sono pelato? Diranno che non so niente? ” Hai questa vocina nella testa.
Però, se ti fermi un secondo e ti guardi in giro, ti renderai conto che, quando tu vai a un evento, una sala riunioni, in qualunque situazione, le persone tendenzialmente si fanno i cazzi loro. C’è quello sul cellulare, c’è quello che si gratta, c’è quello che sta pensando all’amante, c’è quello che sta pensando a cosa mangerà, quello che ha già mangiato. Cioè, ognuno ha i fatti suoi.
Avere l’attenzione di un pubblico è di una difficoltà incredibile. Se ci pensi, se tu parti da questo presupposto, da un lato è negativo, perché dici: “Urca, neanche mi ascoltano. ” Dall’altro, però, è positivo, perché sai che, a prescindere, chi se ne frega del giudizio degli altri?
In generale! Leggiti Feynman: “ma che ti importa di quello che dice la gente? ” Mettiamola lì, questa frasetta.
Dall’altro lato, quando parli, quando comunichi, se metti da parte quello che è il giudizio (che tanto, chi se ne frega, e tanto nella maggior parte dei casi neanche c’è, perché uno non ti ha neanche notato), il problema non è il giudizio. Uno, paradossalmente, non dovrebbe avere paura del giudizio. Se proprio bisogna aver paura di qualcosa, bisogna aver paura dell’anonimato totale.
Il vero problema è essere totalmente irrilevanti, non essere notati, che nessuno ti ascolti. Ti interessa veicolare un messaggio, vero? E allora, da quel punto di vista, ti rilassa molto di più.
Il giudizio? Ognuno si fa i fatti suoi. Io farò del mio meglio per cercare di catturare l’attenzione.
Come faccio a catturare l’attenzione? Qua si entra nel discorso di tutte le tecniche, poi le lascio a te studiarle. Però, alcuni accorgimenti da tenere a mente sono basati sul fatto che, se io parlo con un pubblico, sono in continuo contatto.
Non sto facendo il mio monologo e chi se ne frega se mi stanno ascoltando oppure no. Sto cercando di avere questa conversazione, e la mia attenzione è sempre sul pubblico. Ogni volta che dico qualcosa, il pubblico reagisce, sì o no.
Periodicamente posso avere delle interazioni con il pubblico. Una domanda tipo: “Come state? ” Può essere qualunque cosa.
“Chi è innamorato? ” Non lo so. Puoi chiedere qualunque cosa.
“Vi è mai capitato di mettere il cappello di lana al Polo Sud? ” Non lo so. Qualunque tipo di osservazione o interazione.
Come fareste in una conversazione normale. Aiuta a riagganciare l’attenzione del pubblico e anche a testare chi è più attento e chi meno. Ci sono poi situazioni più difficili e più semplici.
Per me, una volta, ho fatto un evento di un mese nella piazzetta in Piazza Duomo a Milano, quando ancora si potevano fare gli eventi. Dentro la galleria c’era un palchetto e parlavo alle sedie vuote e ai turisti. Dovevo cercare di fermare i turisti che non sapevano chi fossi io.
Non sapevano nemmeno cosa fosse internet, guarda caso l’argomento di cui parlavo. Bene, era un casino, era veramente difficile. Sei lì che ti inventi qualunque tipo di tecnica, e alla fine ti rendi conto che l’unico modo per coinvolgere le persone è farle partecipare a un’esperienza.
Devi dare loro un’emozione, un momento in cui si fermano e dicono: “Oh, non ci avevo mai pensato a questa cosa. ” Deve essere divertente o stimolare un’opinione, tipo: “Sono d’accordo,” o “Non sono d’accordo. ” Devi creare quel momento in cui si fermano ad ascoltarti, perché potrebbe tornare utile a loro, non a te.
A loro, l’attenzione delle persone è sempre su sè stesse. L’ultimo suggerimento, stra-usato ma vero, riguarda le storie. Se io voglio parlarti, che ne so, dell’intelligenza artificiale, dell’impatto che ha la tecnologia sul nostro modo di pensare o sull’incapacità di pensare, la nostra pigrizia, lo posso dire in mille modi.
Posso dire: “L’intelligenza artificiale, se usata ad minchiam, erode il pensiero critico. Punto. ” Questa affermazione passa per la slide e finisce lì.
Tu lo vedi, dici “Ah, ok” e basta. Oppure, posso dirti: “ L’altro giorno ero davanti all’asciugatrice. La mia dolce metà mi ha chiesto di mettere i panni nell’asciugatrice.
” Schiaccio il bottone, parte, inizia a fare rumore. Io sospetto qualcosa e inizia a lampeggiare questa sigla strana: 25-7-gg. E io penso: “Ma perché non ci sono le scritte normali?
Voglio una voce che dice: ‘Il filtro è da cambiare. ’” Ok, guardo e penso: “Io faccio ChatGPT, faccio cloud, faccio intelligenza artificiale. Faccio la mia fotina, sai l’AI che ti riconosce esattamente.
” Mi metto lì e inizio a cercare il problema. Soluzione del problema: qual è la sigla? Risposta di ChatGPT: “Hai controllato di aver chiuso la porta dell’asciugatrice?
L’oblò è chiuso? ” Eh no, l’avevo lasciata aperta. Ecco.
Per dire, questo è il mio livello di attenzione a volte. Mi affido all’intelligenza artificiale anche troppo, perché la uso in continuazione. Allora, questa stupida storiella è molto più efficace, inevitabilmente.
Magari è proprio brutta, però qualunque storia tu voglia raccontare crea un contesto e una relazione completamente diversa con il tuo interlocutore. Mi fermo qua, basta. Basta, basta, taccio.
Mi fermo qua, che ho parlato anche troppo. Fammi sapere quali sono i tuoi problemi principali quando comunichi, i tuoi consigli e suggerimenti, se hai avuto delle esperienze di grande successo, e ti auguro ogni cosa buona. Che la comunicazione sia con te.