Ciao a tutti amici di Vanilla, oggi parliamo di uno dei nomi più celebri dell'Antica Roma, Caligola, la cui fama precede qualsiasi considerazione storica. Di lui sono stati girati dei film, fra cui uno di Tinto Brass, documentari, scritti libri e tanto altro, ma chi era davvero, e cosa ha fatto? Tentiamo di scoprirlo oggi, per quanto scoprire sia un termine improprio, ma prima ricordate che il tasto iscriviti, si trova qua sotto, eppure tanti di voi non lo cliccano perché altrimenti saremmo già a un milione di amici di Vanilla!
Se volete aiutarci sapete già tutto. E ora cominciamo. Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico, più noto come Caligola, è il terzo imperatore romano, dopo Augusto e Tiberio.
Regna dal 37 al 41 d. C. , appena quattro anni, ma è molto più conosciuto di altri imperatori rimasti al potere più a lungo.
Perché la sua fama non è dovuta a conquiste e guerre che, diciamoci la verità, sono difficili da tenere a mente, tra luoghi dai nomi dimenticati e date che si confondono tra loro. Caligola rimane nella storia per suoi eccessi, per la sua - presunta - depravazione, follia, e tracotanza, e chi più ne ha più ne metta. Insomma, Caligola è passato alla storia come un despota crudele e dissoluto, odiato dai senatori romani, che lo fanno uccidere e, non contenti, ordinano pure la sua damnatio memoriae: di lui non deve rimanere nemmeno il ricordo.
E invece il suo successore, Claudio, non approva il provvedimento, ma nonostante questo le notizie su di lui non sono molte, e nemmeno troppo affidabili. Le fonti antiche, in particolare Svetonio, autore delle Vite dei Cesari, insistono molto sulla follia di Caligola. Follia che gli storici moderni tendono un po’ a ridimensionare, ma che non viene del tutto negata.
Perché Svetonio, che racconta le cose a modo suo, e cioè prendendo le parti della classe senatoriale, ha forse esagerato descrivendo Caligola come un “mostro”, ma qualche verità deve averla raccontata. Persino lui parla di “famiglia annichilita” riferendosi appunto alla famiglia di Caligola. Perché quasi tutti i suoi parenti più stretti muoiono, e naturalmente non di morte naturale, quando lui è ancora bambino o adolescente.
Forse tutte queste morti hanno contribuito alla “follia” di Caligola, o forse no. Ma, in ogni caso, vale la pena riassumere in breve l’intricatissimo contesto familiare di Caligola, che ha come protagonisti i più influenti personaggi dell’epoca. E no, non è una puntata di Beautiful… Al vertice della famiglia di Caligola c’è Augusto, che insomma, è certo stato un grande imperatore, ma qualche difetto l’aveva.
Come quello di fare e disfare matrimoni in base alle convenienze politiche, cosa comune all’epoca, ma che lui porta all’eccesso. Augusto divorzia dalla prima moglie per sposare una certa Scribonia, che a sua volta deve divorziare dal marito. L'imperatore fa appena in tempo a concepire con Scribonia la sua unica figlia, Giulia Maggiore, che divorzia proprio il giorno della nascita della bambina.
Divorzia perché vuole sposare, forse per amore, Livia Drsilla, che aspetta un figlio dal marito Nerone. Livia, che ha già un figlio, Tiberio - il futuro imperatore - divorzia e sposa Ottaviano Augusto prima della nascita del bambino, Drso maggiore. Il racconto di tutti questi intrecci familiari non è fine a se stesso ma serve a capire la vicenda di Caligola.
Dal matrimonio di Ottaviano e Livia non nascono figli, e vengono designati al trono via via quattro nipoti dell'imperatore che, guarda caso, muoiono tutti prima di Augusto. In tutte queste morti forse c’è lo zampino di Livia, o forse no, ma insomma, diciamo che la cosa certo non la rattrista. Tiberio poi sposa l’unica figlia di Augusto, Giulia, vedova e già madre di cinque figli.
Tre sono maschi, e tutti e tre fanno una brutta fine, ma nemmeno le due femmine hanno un bel destino, come del resto loro madre. Le nozze vengono decise da Augusto, che obbliga Tiberio a divorziare dalla amatissima moglie, con la quale ha già un figlio, Drso minore, ed è in attesa del secondo, che la ragazza perderà per il dolore della separazione. Il matrimonio tra Tiberio e Giulia non funziona e i due divorziano, mentre il loro unico figlio muore bambino.
Tiberio non nutre particolare affetto per Augusto, per aver obbligato al divorzio prima i suoi genitori e poi lui stesso. Comunque, alla fine, Augusto adotta Tiberio, che nel 14 d. C.
gli succede come imperatore. Prima però, anche se aveva già un figlio suo (Drso minore), aveva dovuto adottare, per ordine di Augusto, Germanico, che sarà il padre di Caligola. Germanico è praticamente nipote di un po’ tutta la famiglia reale, perché Livia Drsilla è la nonna paterna, Augusto è il suo prozio per parte di madre, mentre Tiberio è suo zio per parte di padre.
Suo padre è Drso maggiore (figlio di Livia) e la madre è Antonia minore, nipote di Augusto. Ma Germanico non vanta solo una genealogia che più nobile di così non si può: è un personaggio che entra nel mito ancora prima di morire, perché è un soldato valoroso, amatissimo dalle sue truppe, che lo vorrebbero imperatore al posto di Tiberio. Lui rifiuta la proposta di prendere il potere con la forza delle armi, ma Tiberio comunque soffre della sua immensa popolarità, e lo teme.
Germanico è tanto popolare perché riesce a farla pagare ai Germani per la bruciante sconfitta del 9 d. C. a Teutoburgo, dove tre legioni romane erano state annientate.
Alla fine, il limes romano si attesta sul Reno e sul Danubio, e Tiberio rinuncia ad ulteriori conquiste. Così richiama a Roma Germanico, che invece vorrebbe avanzare nei territori dei barbari. L’imperatore sa che il popolo non lo ama, perché è arrivato al trono grazie alla morte di tutti i nipoti di Augusto designati prima di lui, e sa anche che il popolo ama moltissimo Germanico, e così lo spedisce in Oriente, dove c’è una situazione instabile.
In teoria, Germanico ha un potere illimitato, ma Tiberio, che non si fida di lui, nomina governatore della Siria un suo fedelissimo, Pisone, per controllarlo. I due non vanno d’accordo e Pisone mette i bastoni tra le ruote a Germanico, fino a quando la situazione diventa talmente difficile da indurre Pisone a tornare a Roma. Subito dopo la sua partenza, Germanico si ammala di una malattia misteriosa, e dopo giorni di sofferenza muore, quando ha solo 34 anni.
Prima di morire dice alla moglie Agrippina di essere stato avvelenato, incolpa Pisone, e chiede vendetta. Il suo corpo viene cremato ma, a detta di Svetonio, il suo cuore “fu ritrovato intatto tra le ossa”, una prova dell’avvelenamento, secondo le teorie dell’epoca. Le ceneri vengono riportate a Roma, dove Agrippina accusa Pisone, mentre tutto il popolo romano, e perfino i barbari delle province, manifestano il loro dolore addirittura lanciando pietre contro i templi e rovesciando gli altari degli dei.
Almeno così ci racconta Svetonio. Pisone comunque si suicida, o viene ucciso per ordine di Tiberio, perché è certo di essere condannato a morte per altri reati, e non per il presunto omicidio, impossibile da provare. Ma a Roma molti pensano che dietro la morte di Germanico ci sia in realtà Tiberio, che già non è molto popolare, e dopo lo sarà ancora meno, anche tra gli storici come Svetonio e Tacito, che lo definisce “superbo e impenetrabile”.
Nascere in un contesto familiare tanto mortifero certo non aiuta a crescere con serenità, e magari la salute mentale del nostro Caligola ne risente. Anche perché il peggio deve ancora arrivare. Caligola nasce (probabilmente) ad Anzio, nel 12 d.
C. Di suo padre Germanico abbiamo già parlato, ma occorre dire che anche la madre non è da meno, quanto a nobiltà. Lei è Agrippina maggiore, figlia di Giulia e del primo marito, e quindi nipote di Augusto.
Germanico e Agrippina mettono al mondo sei figli, tre maschi e tre femmine. Il primogenito è Nerone - non il futuro imperatore - e subito dopo di lui nasce Drso, che faranno entrambi una brutta fine. I primi due anni di vita di Caligola sono felici e pieni d’amore, perché attorno a lui non ci sono solo i genitori, ma Augusto e Livia, e la nonna Antonia.
Poi Germanico parte per la missione in Germania, e si porta dietro la famiglia. Per tre anni Caligola vive nella fortezza dei legionari, più o meno dove oggi c’è la città di Colonia, a stretto contatto con le truppe. Ed è proprio lì che nasce il suo soprannome, Caligola, diminutivo di caliga, la calzatura dei legionari che lui porta ai piedi, nonostante sia un bambino.
Quel nomignolo affettuoso gli rimarrà attaccato per tutta la vita, anche se lui non lo amava per niente. Intanto, mentre sono in Germania, nascono due delle sorelle, Agrippina minore (la mamma dell’imperatore Nerone) e Giulia Drsilla, la più amata tra tutte, anche troppo secondo Svetonio, ma ne parleremo più avanti. Germanico torna a Roma nel 17 d.
C. , da vincitore, e Tiberio gli concede l’onore del trionfo. Sul carro che attraversa Roma, tra la folla in festa, siedono anche Caligola e i suoi fratelli.
Nel 18 c’è la partenza per l’oriente, dove nasce l’ultima figlia di Germanico e Agrippina, Giulia, ma un anno dopo, il ritorno a Roma, è molto triste. Di Germanico ci sono solo le ceneri, accompagnate da Brindisi a Roma da un corteo imperiale, e poi deposte nel Mausoleo di Augusto. Praticamente tutti, senatori, consoli e il popolo in lutto rendono omaggio a Germanico.
Tutti meno l’imperatore Tiberio e Livia, e manca perfino sua madre Antonia, assente forse per ordine dell’imperatore. Caligola vive a Roma con la madre, ma gli anni che seguono sono difficili, perché Agrippina è fin troppo irruente nel cercare di assicurare il trono ai figli, in particolare al prediletto primogenito Nerone. E adesso bisogna introdurre la figura mefistofelica di Lucio Elio Seiano, braccio destro di Tiberio e potentissimo prefetto del pretorio che, dice Tacito, “covava una smania irresistibile di afferrare il potere supremo”.
Per riuscirsi non si fa scrupolo di eliminare fisicamente tutti quelli che possono impedire la sua scalata al potere. A partire da Drso, l’unico figlio naturale di Tiberio, che muore di una lenta e misteriosa malattia. Forse viene avvelenato - poco alla volta - dalla moglie, che è sorella di Germanico nonché amante di Seiano.
Eliminato il primo ostacolo, bisogna occuparsi degli altri, che sono appunto i due figli maggiori di Germanico, nominati eredi da Tiberio. Durante questa corsa al potere muoiono moltissime persone, tutte ostili a Seiano e amiche dell’energica Agrippina, che non si fida di Tiberio e tantomeno di Seiano. Rifiuta addirittura di mangiare della frutta che l’imperatore le offre, perché un emissario di Seiano le fa sapere che Tiberio vuole avvelenarla.
E' un modo per mettere in cattiva luce la donna, agli occhi dell'imperatore. Si può configurare addirittura il reato di lesa maestà, che le sarà contestato in seguito. Le cose non migliorano nemmeno quando Tiberio si ritira a Capri, nel 27 d.
C. In pratica, l’imperatore abbandona Roma e governa per tramite di Seiano, “consigliere e ministro di tutti gli affari”, che accelera i tempi per la sua scalata al potere. Agrippina viene accusata di “arroganza”, e Nerone di perversione sessuale ed effeminatezza, così i due vengono relegati prima a Ercolano e poi mandati in esilio l’una a Ventotene e l’altro a Ponza.
Dietro questa accusa c’è il secondogenito di Germanico e Agrippina, Drso, sobillato da Seiano contro la madre e il fratello. Caligola, che per sua fortuna non è ancora stato adottato da Tiberio, va a vivere con la bisnonna Livia, e quando lei muore, nel 29, con la nonna Antonia. L’elogio funebre di Livia viene pronunciato proprio dal giovane Caligola, perché Tiberio non si scomoda ad andare a Roma da Capri, e questo la dice lunga sui rapporti fra quell’ingombrante madre e l’imperatore.
Caligola quindi si trasferisce dalla nonna Antonia che, ricordiamo, è figlia di Marco Antonio, uscito sconfitto nella lotta di potere con Ottaviano Augusto. Una lotta di potere che vede contrapposte anche due diverse visioni del futuro di Roma. Il vincitore Ottaviano, almeno formalmente, non ha il potere assoluto, ma è un princeps, ovvero è “primus inter pares” all’interno del Senato.
Insomma, Augusto mantiene in vita delle istituzioni repubblicane, ma le svuota di ogni potere, mentre Marco Antonio aveva in mente una monarchia in stile orientale, dove il sovrano governa per volontà divina. Ecco, Caligola si lascia suggestionare da questo concetto, anche perché nella casa di Antonia ha modo di conoscere dei principi d’oriente che, in qualche modo, rafforzano questa suggestione. Sempre mentre vive dalla nonna, il giovane Caligola intrattiene una relazione incestuosa con le sorelle, in particolare con Drsilla.
O almeno, così racconta Svetonio, che scende in particolari: “si crede che la deflorasse quando ancora portava la pretesta [significa che aveva meno di 17 anni], e che un giorno fu perfino sorpreso tra le sue braccia dalla nonna Antonia”. Arriviamo al 31 d. C.
, che segna la fine di Seiano. Il prefetto era diventato davvero troppo potente, e troppo sfacciato, tanto da essere considerato il vero imperatore, mentre Tiberio era definito “l’imperatore di un isolotto” (Cassio Dione). La cosa, naturalmente, non va giù a Tiberio, che da un giorno all’altro si libera del suo braccio destro, per motivi non ancora del tutto certi.
Fatto sta che Seiano viene condannato a morte per tradimento, e ucciso il 18 ottobre del 31 d. C. .
Intanto Nerone (il primogenito di Germanico) è morto nel suo esilio a Ponza, forse suicida, forse ucciso per ordine di Seiano. Due anni dopo muore anche Agrippina, forse fatta morire di fame per ordine di Tiberio. Nello stesso anno muore anche Drso, quello che aveva tradito la madre e il fratello, finito in carcere e pure lui morto di fame nelle segrete del Palatino.
Alla fine, dei figli maschi di Germanico è rimasto in vita solo Caligola, che viene chiamato a Capri da Tiberio. Per il suo soggiorno sull’isola, ancora una volta dobbiamo fare riferimento a Svetonio, che racconta di una sorta di doppia personalità di Caligola: da una parte è del tutto sottomesso a Tiberio e alla sua corte, nonostante “i tranelli che gli venivano tesi” per provocarlo, come se avesse del tutto dimenticato le terribili vicende della sua famiglia, e dall’altra mostra “la sua natura crudele e viziosa”. In sostanza, gli piace assistere alle torture e alle esecuzioni dei condannati (come a tutti, all’epoca), passa le notti tra lupanari e taverne, e si appassiona di musica e danza.
Tiberio non ci trova niente di male, anzi, ne è contento perché, dice, “Gaio vive per la sua rovina e per quella di tutti; allevo una vipera per il popolo romano e un Fetonte per l’universo”. Da queste parole si capisce bene che Tiberio non amava per nulla i Romani. Nel 33 (o forse nel 31) Caligola si sposa con una nobildonna, che tre anni dopo muore di parto, e con lei anche il bambino.
Nel 35 Tiberio designa come suoi eredi Caligola e Tiberio Gemello. L’imperatore è il nonno di Tiberio Gemello, il quale ha 10 anni meno di Caligola e non è molto ben visto a Roma, perché forse è in realtà figlio di Seiano, che per un certo tempo era stato l’amante della madre Livilla. Tiberio non prende in considerazione Claudio, fratello di Germanico, che non sembra essere del tutto a posto di mente, e comunque ha una salute malferma.
Nel 37 Tiberio muore, forse di morte naturale - anche perché ha già 79 anni - o forse soffocato con un cuscino dallo stesso Caligola. Poco importa ai Romani, che odiano Tiberio e acclamano con gioia Caligola, perché figlio di quel glorioso Germanico. La plebe romana vorrebbe addirittura gettare il cadavere di Tiberio nel Tevere, ma Caligola fa tutto a modo: il corpo del defunto imperatore viene portato a Roma, e Caligola in persona pronuncia l’elogio funebre.
Subito dopo aver deposto le ceneri di Tiberio nel Mausoleo di Augusto, Caligola recupera quelle della madre e del fratello Nerone e le depone nel Mausoleo della famiglia. Il popolo romano è commosso da tanto amore familiare e, in pratica, costringe il senato ad annullare il testamento di Tiberio: l’unico princeps deve essere Caligola. Tutti pensano che Tiberio Gemello sia troppo giovane (ha 15 anni), e per giunta "bastardo", e comunque il defunto imperatore, alla fine, non ci stava più con la testa.
Il principato di Caligola inizia bene, e tutti festeggiano per mesi, anche nelle province più remote. Il nuovo imperatore fa di tutto per farsi amare dal popolo: “procede alla riabilitazione dei condannati e degli esiliati”, e annulla le accuse ancora in piedi. Fa addirittura bruciare le carte dei processi condotti contro la madre e il fratello, per dimostrare che non ci sarebbero state vendette.
Poi fa rimettere in circolazione dei libri che erano stati proibiti dal senato, e soprattutto “fa pagare in contanti, con lealtà e senza cavilli legali, i lasciti testamentari di Tiberio, benché il suo testamento fosse stato annullato”. Lasciti non da poco, che riguardano tutti i pretoriani e i soldati, e ogni cittadino romano. Abolisce qualche tassa e rimette sul trono dei principi di stati vassalli, in particolare quelli che aveva conosciuto a casa di Antonia, e addirittura li risarcisce delle imposte perdute.
E poi organizza i giochi tanto amati dai romani, ed escogita uno spettacolo che è rimasto nella storia come un segno della sua follia. In realtà Svetonio non lo annovera tra le pazzie di Caligola, ma lo descrive senza esprimere giudizi. Fa costruire, tra Baia e Pozzuoli, un ponte di navi lungo oltre due chilometri e mezzo, che poi fa ricoprire di terra, “dando a tutto l’insieme l’aspetto della Via Appia”.
Per due giorni fa su e giù da questo ponte, prima in sella al suo cavallo e poi guidando un carro, sempre vestito con abiti sontuosi e accompagnato dai pretoriani. Svetonio, per spiegare questa trovata, fa tre ipotesi: Caligola vuole imitare il re persiano Serse, che aveva fatto una cosa simile sull’Ellesponto, oppure vuole impressionare “Germani e Bretoni, che lo minacciavano di guerra”. Poi però Svetonio si ricorda di qualcosa raccontata dal nonno, che aveva saputo di una previsione fatta da un astrologo a Tiberio: “Gaio [Caligola] ha tante possibilità di diventare imperatore quante ne ha di attraversare a cavallo il golfo di Baia”.
Comunque, l’imperatore fa anche qualcosa di più concreto. Completa la costruzione del tempio di Augusto e del teatro di Pompeo, voluti da Tiberio, ordina la realizzazione di due acquedotti e di un anfiteatro, e fa restaurare dei monumenti a Siracusa, mentre progetta altre grandi opere, che non fa in tempo a cominciare. E qui si conclude la descrizione di quanto di buono ha fatto Caligola, almeno secondo Svetonio, che scrive: “Fin qui abbiamo parlato del principe, ora non ci resta che parlare del mostro”.
Perché Svetonio lo definisce "Mostro"? Diciamo che c’è un prima e un dopo. Perché Caligola cambia dopo aver scampato la morte a seguito di una misteriosa malattia.
Su questo, tutti gli storici moderni sono d’accordo, anche se nessuno è in grado di stabilire di quale malattia si trattasse. Forse un disturbo mentale, o forse un male fisico che ha avuto conseguenze psichiche, difficile a dirsi. Sta di fatto che Caligola si ammala dopo pochi mesi di regno, e quando si riprende non è più lo stesso.
Oppure, come scrive lo storico suo contemporaneo Filone d’Alessandria, “mise a nudo il carattere bestiale che aveva nascosto sotto una finta maschera”. Allora, tutto l’amore dimostrato per la sua famiglia era una finta? Potrebbe essere, perché a un certo punto sembra volerne prendere le distanze.
Non dalla madre e dal padre, ma certamente da Augusto, che non può più essere festeggiato, e da Livia (moglie di Augusto), che secondo lui ha origini plebee, perché suo nonno era, orrore! , un “decurione di Fondi” (oggi in provincia di Latina). Tratta male anche la nonna Antonia, ancora in vita, che forse muore di dolore proprio per l’atteggiamento del nipote, o forse finisce avvelenata.
Poi tocca a Tiberio Gemello, ma qui non c’entra la pazzia. Mentre Caligola era ammalato, Tiberio Gemello forse aveva cercato di prendere il potere, e comunque reclama di essere associato al trono, come disposto da Tiberio. Nel 38 il ragazzo esce di scena, forse ucciso o forse obbligato a suicidarsi.
Nello stesso anno muore di malattia anche l’amata sorella Drsilla, che sarà divinizzata. Ma del grande amore per le altre due sorelle, che pure ricevono molti onori all’inizio del suo regno, non resta traccia. Però, anche qui è difficile parlare di pazzia, perché le due tramano contro Caligola, in combutta con il vedovo di Drsilla, Marco Emilio Lepido, che è l’amante di entrambe ed è pure stato scelto come erede dallo stesso imperatore.
Così Lepido viene giustiziato, mentre le due sorelle finiscono al confino nelle isole Pontine. Ma almeno non muoiono, anche se Caligola le minaccia: “Non ho solo delle isole, ma anche delle spade! ”.
L'imperatore si diverte anche a sposare delle donne, almeno due, che hanno appena contratto matrimonio con un altro uomo, per poi ripudiarle subito dopo. Va molto peggio a Ennia Trasilla, che è la moglie del prefetto del pretorio Macrone. Ennia è stata l’amante di Caligola, prima che diventasse imperatore, e lo aveva appoggiato in tutti i modi, così come lo stesso Macrone, che sapeva bene della relazione tra i due, e forse l’aveva addirittura favorita.
Comunque sia, alla fine il prefetto cade in disgrazia e riceve l’ordine di suicidarsi insieme ai figli e alla moglie. La quarta moglie di Caligola, che mette al mondo l’unica figlia dell’imperatore, non muore per mano del marito, ma fa una brutta fine lo stesso, come vedremo alla fine. Ma questi omicidi, reclusioni e matrimoni scombinati, li abbiamo già visti durante i principati di Augusto e Tiberio.
Certo, Caligola viene accusato di incesto con le sorelle, ma ne parla Svetonio, che scrive decenni dopo la morte dell’imperatore. Seneca, che è contemporaneo di Caligola, lo definisce un “tiranno di quotidiana demenza”, ma non accenna a quegli incesti. Si può anche dire che Caligola scialacqua, nel giro di un anno, l’immenso patrimonio lasciato da Tiberio nelle case delle stato.
Una parte di quei soldi viene spesa per esaudire le disposizioni testamentarie di Tiberio e nelle opere monumentali di cui abbiamo già parlato. Ma il resto finisce inghiottito dalle lussuose stravaganze dell’imperatore, che ci tiene a dimostrare di essere un Cesare e non un “uomo frugale”. E allora offre ai suoi ospiti perle sciolte nell’aceto e pietanze cosparse di polvere d’oro, e più volte fa cadere una pioggia di denari sul popolo che aspetta sotto la Basilica Giulia.
E si circonda di lussi mai visti, nei palazzi e nelle navi gigantesche che si fa costruire, dove ci sono “terme, portici, ampie sale da pranzo e persino diverse qualità di vigne e di piante da frutto”, almeno così scrive Svetonio. Ma i soldi finiscono, e iniziano i provvedimenti impopolari, come nuove tasse, e addirittura gli imbrogli per impadronirsi delle proprietà altrui. A Roma, ormai, tutti vivono nella paura di finire in rovina e, cosa probabile, condannati a morte, tutto per consentire i lussi del tiranno.
Ecco la grande colpa di Caligola: ha ceduto alle suggestioni orientaliste e da princeps si è trasformato in tiranno. Un tiranno che vuole essere considerato un dio, e addirittura si fa chiamare Giove durante le cerimonie pubbliche. Giove che, non per niente, è il re degli dei, e con cui lui parla regolarmente, e ci litiga pure, tanto che arriva a dirgli “o tu elimini me, o io te”, a quanto riporta Cassio Dione.
La divinizzazione dei sovrani viventi non è una novità, in oriente è cosa comune, ma a Roma no. A Roma si fa ancora fatica ad accettare un princeps, figuriamoci se vogliono un imperatore che si crede un dio. Bisogna aspettare di morire per avere quell’onore.
E invece Caligola fa togliere la testa di molte statue di divinità e ci mette la sua, il culmine della sua Hybris, la tracotanza greca, un valore che era stato traslato anche a Roma. Inaccettabile. Cosa resta da dire, se non che conduce due inutili campagne militari in Germania e in Gallia.
Sulle rive dell’oceano, di fronte alla Britannia, ordina ai soldati di raccogliere conchiglie, “dicendo che quelle erano le spoglie dell’oceano”. Insomma, lui pensa di aver vinto una battaglia contro il mare, e riporta a Roma quel bottino di conchiglie. L’ultima stravaganza di Caligola, la più famosa, riguarda il suo amato cavallo Incitatus, che vive in un palazzo di marmo, mangia in una greppia d’avorio e ha finimenti tempestati di pietre preziose.
A proposito del cavallo, Svetonio scrive: “si dice anche che progettò di nominarlo console”. Si dice, quindi non è cosa certa, ma se anche lo fosse, più che una stravaganza, sembra l’estremo sfregio ai senatori. Insomma, la misura è colma, e molti vogliono la morte di Caligola, e lui lo sa bene, ma per quanto sia attento e meticoloso nel difendersi non sfugge al suo destino.
Destino che incontra il 24 gennaio del 41, mentre sta lasciando il teatro dove aveva assistito a dei giochi pubblici. Mentre attraversa un corridoio che collega il teatro al suo palazzo, viene assalito da un gruppo di pretoriani, e vale la pena ricordare che i pretoriani erano proprio la guardia scelta dell’imperatore. A guidarli c’è un tribuno, tale Cassio Cherea, vittima delle prese in giro dell’imperatore, che lo tormentava per la sua voce acuta che la definiva da “checca”.
Magari c’erano anche motivi politici, ma comunque sia, Caligola finisce pugnalato, trenta volte. Svetonio riassume: "Caligola visse 29 anni e fu imperatore per tre anni, dieci mesi e otto giorni", e ci informa che, subito dopo, vengono uccise anche la moglie e la sua bambina, “fracassata contro il muro”. Nessuno festeggia, perché tutti pensano a una falsa notizia messa in giro dall’imperatore stesso, per mettere alla prova i suoi sudditi.
Poi però, la morte di Caligola fa rinascere nei senatori la voglia di Repubblica, ma i pretoriani acclamano imperatore Claudio lo storpio (fratello di Germanico), pensando di poterlo manovrare con facilità, ma si sbagliano di grosso. Tanto è vero che fa condannare a morte tutti gli assassini del nipote, forse perché anche lui c’entra con la congiura, o forse no, noi questo non lo sapremo mai. Diventa uno degli imperatori più grandi della storia romana, ma questa è, in effetti, un’altra storia.