Ciao, sono Benjamin di Più di Sei, benvenute e benvenuti in questa nuova lezione di storia. Oggi parleremo della Guerra Fredda. Con questa espressione si intende indicare la storia globale della seconda parte del ‘900, segnata dal conflitto tra le due superpotenze emerse vincitrici dalla Seconda Guerra Mondiale: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
La Guerra Fredda è un fenomeno estremamente complesso: innanzitutto perché abbraccia più di 40 anni di storia: dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino agli inizi degli anni ‘90; inoltre, essa si è svolta sull’intera superficie terrestre, coinvolgendo moltissimi Stati e avendo ogni volta diversi protagonisti. Per questo motivo, dopo aver dato un breve descrizione delle sue caratteristiche generali, faremo una panoramica delle sue diverse fasi, e per ognuna di esse presenteremo gli eventi più significativi. Per capire che cosa sia la guerra fredda dobbiamo anzitutto capire che cosa questa espressione significhi.
Il termine “guerra fredda” viene coniato per la prima volta nel 1945 dallo scrittore George Orwell, che lo usa per descrivere un mondo che vive all’ombra della minaccia di una guerra nucleare. La prima applicazione del termine al contesto geopolitico della Seconda Guerra Mondiale è rintracciabile in un discorso del 1947 del politico Bernard Baruch. Infine, la denominazione “guerra fredda” viene diffusa a livello internazionale dal giornalista Walter Lippmann.
Ma che cosa si intende per guerra fredda? Perché questa guerra è fredda? Perché con l’entrata in gioco della bomba atomica, non è più possibile concepire una guerra che si configuri come uno scontro aperto e frontale tra due eserciti.
Proviamo infatti ad immaginare gli unici due possibili scenari di un conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Il primo è quello della rappresaglia totale: ovvero, uno scenario in cui solo gli Stati Uniti possiedono armamenti atomici, avendo quindi la facoltà di usarli in risposta a qualsiasi aggressione da parte dell’Unione Sovietica. Il secondo scenario è quello dell’equilibrio del terrore, in cui anche l’Unione Sovietica ha la bomba atomica, rendendo possibile una distruzione reciproca.
Inizialmente si sviluppa lo scenario della rappresaglia totale ma, a partire dal 1949, quando anche l’Unione Sovietica sviluppa armamenti nucleari, domina lo scenario dell’equilibrio del terrore. Ad ogni modo, in entrambi i casi è impossibile pensare che il conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica si risolva con un semplice scontro di eserciti; si tratta, infatti, di uno scontro di civiltà. Una contrapposizione certamente anche militare, ma soprattutto politica e ideologica, che non si combatte con uno scontro armato, aperto e frontale, ma con tante guerre locali dislocate in tutto il mondo, con la diplomazia, l’economia, la repressione di posizioni favorevoli all’avversario e addirittura lo sport e la scienza.
Le due grandi ideologie politico-economiche che si scontrano sono la democrazia liberale e capitalista degli Stati Uniti, e il comunismo statalista dell’Unione Sovietica. Lo scontro di civiltà, però, non si limita a queste due superpotenze, poiché attorno ad esse si aggregano i diversi paesi, legati non solo da interessi politici ed economici, ma anche da patti militari. Di fatto il mondo si ritrova diviso in due grandi aree di influenza o blocchi: dal lato degli Stati Uniti, il blocco occidentale, unito militarmente dal 1949 sotto la NATO; dal lato dell’Unione Sovietica, il blocco comunista, unito militarmente dal 1955 sotto il Patto di Varsavia.
Tuttavia, non tutti i paesi sottostanno alla logica dei blocchi. Nel corso della guerra fredda, prima nel 1955 con la Conferenza di Bandung e poi definitivamente nel 1961, emerge il cosiddetto “movimento dei non allineati”, che dichiara la propria neutralità rispetto al conflitto tra le due grandi superpotenze. A capo del movimento, che comprende per lo più paesi africani e asiatici nati in seguito al processo di decolonizzazione, troviamo la Jugoslavia guidata da Tito, uno stato federale e comunista, ma originale e indipendente rispetto all’Unione Sovietica.
Ora, possiamo andare ad analizzare le diverse fasi della Guerra Fredda, che trova le sue radici nel disastroso periodo del secondo dopoguerra. Finita la Seconda Guerra Mondiale, l’Europa si trova in ginocchio: le perdite umane ammontano a circa 60 milioni; i civili hanno conosciuto e subito i bombardamenti, la guerra totale, i massacri e le restrizioni alla propria libertà; i danni materiali sono ingenti: le città sono distrutte, bisogna riconvertire le fabbriche ad una produzione non-bellica, mancano materie prime e denaro. Oltre a questo, bisogna anche contare il trauma morale causato dalla violazione dei diritti umani, dalla scoperta dei campi di concentramento e della Shoah, dal terrore della bomba atomica e di una possibile terza guerra mondiale e dai movimenti di migliaia di profughi, fuggitivi e reduci.
Dalla crisi delle potenze europee emerge un nuovo assetto mondiale. Da un lato nel 1945 nasce l’ONU, che, come la precedente Società delle Nazioni Unite, si pone come garante mondiale della pace. Per approfondire la storia e le funzioni dell’ONU, trovi un link di approfondimento in descrizione.
Dall’altro lato, nelle diverse trattative di pace (come la Conferenza di Potsdam del 1945 e la Conferenza di pace di Parigi del 1946) e all’interno dell’ONU stesso, si inizia a delineare il conflitto ideologico tra Stati Uniti e Unione Sovietica: i veri vincitori della Seconda Guerra mondiale. Si inizia anche a formare la divisione in due blocchi: i territori occupati durante la guerra dall’Unione Sovietica diventano stati comunisti sotto la sua influenza, lo stesso (ma all’opposto) accade con i paesi occupati dagli Anglo-Americani. Una serie di celebri discorsi esemplificano questa montante conflittualità.
Nel 1946, durante il cosiddetto Discorso di Fulton, l’ex Primo Ministro del Regno Unito Winston Churchill conia la famosa metafora della “cortina di ferro” per denunciare la difficoltà dei rapporti tra gli alleati che, dopo aver sconfitto il comune nemico del nazifascismo, si trovano in un conflitto di interessi. Nel 1947 il presidente americano Harry Truman adotta la dottrina del containment, che consiste nell’impedire la diffusione del comunismo e difendere il modello occidentale. Per farlo, Truman tenta di ricostruire i sistemi democratici ed economici dell’Europa appoggiando i partiti anticomunisti e facendo partire un programma di assistenza economica chiamato Piano Marshall.
L’Unione Sovietica risponde con un discorso del 1947, nel quale Andrej Ždanov, l’ideologo di Stalin, denuncia l’espansionismo degli Stati Uniti e afferma la necessità di costruire un blocco di arginamento. Nel frattempo in Cina, tra il 1946 e il 1949 si svolge una guerra civile che si conclude con la vittoria dei comunisti di Mao Zedong e la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Questa, nell’immediato, diventerà un importante alleato dell’Unione Sovietica, ma, nel tempo, le due potenze si allontaneranno per motivi ideologici.
Sono poi due gli episodi che concretizzano questo clima di tensione e segnano il vero inizio della Guerra Fredda. Il primo evento è la Crisi di Berlino, avvenuta tra il 1948 e il 1949. Fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la capitale tedesca era stata divisa in quattro diverse zone di influenza: una francese, una inglese, una americana e una sovietica.
Nel giro di pochi anni le prime tre sono raggruppate in un’unica “Trizona”, dividendo sostanzialmente la città in due parti: Berlino Est, sotto influenza sovietica, e Berlino Ovest, sotto quella americana-occidentale. La crisi di Berlino si riferisce al blocco da parte dell’Unione Sovietica di qualsiasi accesso (stradale, ferroviario, aeroportuale, eccetera) a Berlino Ovest. L’obiettivo del blocco, che viene istituito il 24 giugno 1948 e durerà fino al 12 maggio 1949, era quello di impedire l’arrivo di cibo, materiali e rifornimenti, per indurre gli occidentali ad andarsene dalla città.
Gli Stati Uniti e i loro alleati rispondono al blocco creando il “ponte aereo per Berlino”: un imponente e continuo rifornimento aereo che permette ai berlinesi dell’ovest di sopravvivere nonostante il blocco; che verrà infine ritirato dopo ben 11 mesi, senza alcuna conseguenza militare. Il secondo evento che segna l’inizio della Guerra Fredda è la Guerra di Corea, svoltasi tra il 1950 e il 1953. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la Corea si divide in due sul confine del 38° parallelo terrestre: la Corea del Nord, di stampo comunista, e la Corea del Sud, alleata degli Stati Uniti.
Nel 1950 l’esercito nordcoreano, sostenuto dall’Unione Sovietica, invade i territori della Corea del Sud, che riceve il supporto dell’ONU e del blocco occidentale. Sarà l’intervento dell’appena fondata Repubblica Popolare Cinese a ribaltare le sorti della guerra e a portare alle trattative di pace che nel 1953 riconfermeranno il confine sul 38° parallelo. Più che l’evento in sé, sono importanti le sue conseguenze: il rilancio della corsa agli armamenti, l’emergere della Cina come nuova superpotenza e la globalizzazione della Guerra Fredda, che da adesso in avanti avrà come teatro l’intero pianeta.
Tra il 1953 e il 1962, dopo una prima fase di distensione, si svolge la fase forse più drammatica della Guerra Fredda. Nel 1953, infatti, i mutamenti nella leadership politica di entrambe le parti modificano la dinamica del conflitto. In seguito alla morte di Stalin, Nikita Chruščëv diventa il nuovo capo del partito comunista, e cerca di migliorare i rapporti con il mondo occidentale: l’obiettivo non è più quello di sconfiggere gli Stati Uniti in guerra, ma è quello di dimostrare la superiorità del sistema comunista.
Negli Stati Uniti, invece, il neoeletto presidente Dwight Eisenhower pur proclamando ufficialmente un ulteriore irrigidimento della condotta americana, di fatto si dimostra attento ai segnali di apertura dell’Unione Sovietica. Simbolo del riallacciarsi del dialogo tra le due superpotenze è la Conferenza di Ginevra del 1955. Se a livello internazionale c’è un certo allentamento delle tensioni, in Europa, soprattutto nell’area di influenza sovietica, la situazione si complica.
Tre sono gli eventi importanti in questo senso. Il primo, del 1955, è la firma del Patto di Varsavia, che cementizza l'alleanza militare ed economica dei paesi del blocco sovietico. Il secondo, del 1956, è il XX° Congresso del Partito Comunista sovietico, in cui Chruščëv, all’interno della sua campagna di de-stalinizzazione, denuncia i crimini del suo predecessore.
Questa dichiarazione di Chruščëv provoca diverse reazioni: in Occidente, soprattutto nei partiti comunisti, crea grande disorientamento; mentre nel blocco comunista porta la speranza di un regime meno oppressivo. Purtroppo questa speranza verrà delusa lo stesso anno dalla repressione della rivoluzione ungherese. In seguito ad un’insurrezione popolare, l’Ungheria viene guidata da un nuovo governo che dichiara la sua volontà di uscire dal Patto di Varsavia e di istituire elezioni libere.
L’Unione sovietica risponde inviando l’Armata Rossa, che mette in atto una dura repressione. Quest’azione, che svelava il lato repressivo dell’Unione Sovietica e la posizione subordinata degli altri stati del blocco sovietico, provoca un’ulteriore frattura ideologica all’interno dei partiti comunisti di tutto il mondo, che si sentono disillusi e traditi. Successivamente, nei primi anni 60’, si assiste ad una progressiva escalation della tensione tra le superpotenze della Guerra Fredda, avendo come punti di culmine la Crisi di Berlino del 1961 e la Crisi di Cuba, svoltasi tra il 1962 e il 1963.
Nuovo protagonista in campo statunitense è il presidente John Kennedy, nonostante i suoi tentativi di favorire la distensione e di portare la società americana verso una “nuova frontiera”. La prima crisi, quella di Berlino, coincide con la costruzione del famoso Muro di Berlino, che viene eretto per impedire il continuo flusso di emigrazione da Berlino Est a Berlino Ovest, e che diverrà il simbolo ideologico e materiale dell’intera Guerra Fredda. Per quanto riguarda l’isola di Cuba, nel 1959, in seguito ad una rivoluzione guidata da Che Guevara e Fidel Castro, si instaura un governo di tendenze marxiste.
La pressione dovuta alla presenza di un pericolo comunista così vicino spinge il neoeletto Kennedy ad organizzare nel 1961 un’invasione dell’isola. L’operazione, conosciuta anche come la battaglia della Baia dei Porci, fallisce, causando un ulteriore avvicinamento di Cuba all’Unione Sovietica, al punto che intorno al 1962 vengono installati dei missili nucleari sovietici sul suolo cubano. Gli Stati Uniti rispondono allora con un blocco navale e presentano un ultimatum: il mondo sembra essere sull’orlo della guerra nucleare.
Chruščëv decide, però, di smantellare le basi missilistiche, in cambio dell’impegno statunitense a non invadere nuovamente l’isola. La crisi di Cuba, probabilmente l’evento che ha portato il mondo più vicino alla guerra nucleare, segna l’apice drammatico della Guerra Fredda e l’inizio di un periodo di disarmo e di distensione nei rapporti tra le due superpotenze. Alcuni momenti simbolici di questa nuova piega del conflitto sono i vari trattati per la limitazione sugli esperimenti atomici, la sostituzione di Chruščëv con Leoníd Bréžnev alla guida del partito comunista, il reciproco riconoscimento delle due Germanie e il loro ingresso nell’ONU nel 1972.
Eppure, anche in questo periodo di sostanziale distensione, non mancano episodi di tensione. Il più importante di questi episodi è senza dubbio la Guerra del Vietnam, combattuta tra il 1964 e il 1975. Le origini del conflitto sono da rintracciarsi nella precedente Guerra di Indocina, svoltasi tra il 1945 e il 1954 e durante la quale si scontrano il movimento nazionalista dei Viet Minh, legato all’Unione Sovietica, e la Francia, che tenta di riprendersi i suoi possessi coloniali.
La guerra si conclude nel 1954 con la vittoria dei nazionalisti vietnamiti durante la battaglia di Dien Bien Phu; le trattative di pace portano alla divisione del Vietnam in due zone: a Sud una dittatura filo-occidentale, a Nord un governo comunista guidato dal carismatico Ho Chi Minh. Nel 1956, l’invio nel Vietnam del Nord di alcuni “consiglieri militari” americani e la fondazione in risposta del Movimento di guerriglia comunista dei Vietcong segnano l’inizio delle ostilità. Un incidente tra la marina americana e quella vietnamita, avvenuto nel 1964 nel Golfo del Tonchino, sarà il pretesto sia per accrescere la presenza militare degli Stati Uniti sia per incitare l’opinione pubblica alla guerra.
L’anno successivo, l’elezione del presidente Lyndon Johnson porta ad un massiccio sforzo bellico, che impiega tanto i bombardamenti quanto un esercito sempre più grosso. L’obiettivo è quello di impedire l’espansione del comunismo in Vietnam e nell’Asia sudorientale. Il conflitto si estende per svariati anni, senza portare a nessun risultato: nonostante l’enorme quantità di forze terrestri, aeree e navali americane, le tecniche di guerriglia dei vietnamiti e la conoscenza del territorio si rivelano vincenti.
La clamorosa sconfitta della battaglia del Tết, avvenuta nel 1968, rende l'opinione pubblica sempre più contraria al proseguimento della guerra e spinge gli Stati Uniti a sospendere i bombardamenti. Il conflitto si trascina però ancora per alcuni anni, coinvolgendo anche Laos e Cambogia, fino al 1975, anno delle riunificazione del Vietnam sotto un governo comunista e filo-sovietico guidato da Ho Chi Minh. La Guerra del Vietnam ha rappresentato uno dei momenti più difficili nella storia degli Stati Uniti: è stata un clamoroso insuccesso militare, che ha portato a una forte protesta interna e riprovazione internazionale, e ha ottenuto il risultato contrario a quello che si era posta, causando la costituzione di regimi comunisti anche in Laos e Cambogia.
Altri due momenti di particolare tensione sono rappresentati dalla repressione della “Primavera di Praga”, del 1968 e dalla cosiddetta “questione mediorientale”. Con “Primavera di Praga” si intende il processo di liberalizzazione economica e politica portata avanti in Cecoslovacchia da Alexander Dubček con lo scopo di creare un “socialismo dal volto umano”. La risposta dell’Unione Sovietica, com’era successo 12 anni prima in Ungheria, è di dura repressione.
Bréžnev giustifica l’invasione adducendo la teoria della sovranità limitata, la quale rivendica il diritto di violare la sovranità di qualsiasi paese del blocco sovietico che tenti cambiare sistema politico o economico, in nome della sicurezza di tutti gli altri paesi comunisti. La questione mediorientale, invece, si riferisce ai conflitti militari tra Israele (sostenuta dagli Stati Uniti) e l’Egitto (supportato dall’Unione Sovietica e altri paesi arabi limitrofi). Le ostilità iniziano nel 1967 con la Guerra dei 6 giorni, che vede Israele vittoriosa; proseguono nel 1973 con la Guerra del Kippur, dalla quale Israele esce sconfitta, e infine finiscono nel 1979 con il trattato di pace di Washington.
L’ultima parte della Guerra Fredda, che attraverso tutti gli anni 80’ del 900’, sono segnati prima da una breve ma intensa ripresa delle ostilità, per poi concludersi con la fine definitiva del conflitto. La ripresa delle ostilità si deve per la maggior parte alla politica del presidente Ronald Reagan, che si impegna in una vera e propria lotta senza quartiere al comunismo, attraverso, per esempio, il rafforzamento dell’arsenale missilistico e nucleare e il supporto di qualsiasi governo (anche dittatoriale) che si opponesse ai regimi comunisti. I momenti salienti di questa ultima fase conflittuale sono la Guerra tra Iran e Iraq, combattuta tra il 1980 e il 1988, e la Guerra in Afghanistan, svoltasi tra il 1979 e il 1987.
In entrambi i casi, le due superpotenze intervengono per difendere o favorire l'instaurarsi di un governo sotto la propria influenza. Entrambe le guerre, però, si concludono con un nulla di fatto: la Guerra tra Iran e Iraq finisce con un cessate il fuoco stabilito dall’ONU e nessuna modifica territorial, mentre l’intervento sovietico in Afghanistan si conclude con ingenti perdite e l’instaurazione di un regime fondamentalista islamico. Come un cambio di leadership in campo americano aveva determinato il riaccendersi delle ostilità, così la nomina di Michail Gorbačëv come nuovo segretario del partito comunista sovietico ne determina la fine.
Gorbačëv è ormai convinto dell’inadeguatezza dello stalinismo a fornire un’alternativa valida al modello liberale-capitalista, sia dal punto di vista politico (per la scarsa rappresentatività e la mancanza del consenso) sia da quello economico (per l’inefficienza del sistema di produzione e la mancanza di una adeguata distribuzione dei beni di consumo). La sua politica è quindi dominata dai principi della glasnost (ovvero trasparenza) e della perestrojka (cioè la ricostruzione) e si impegna in varie riforme: volta alla liberalizzazione della vita pubblica, all’apertura ad un’economia di mercato e al miglioramento delle relazioni con gli Stati Uniti. Questa progressiva distensione dei rapporti internazionali e l’affievolirsi della parte ideologica del conflitto culminano in due eventi dall’enorme valore simbolico.
Si tratta del crollo del Muro di Berlino nel 1989 e della disgregazione dell’Unione Sovietica, nel 1991. Questi eventi segnano in modo definito la fine della Guerra Fredda e con essa più di quarant'anni di storia globale. Se il video ti è piaciuto, ricordati di iscriverti per non perderti le prossime lezioni, incluse le nuove rubriche di filosofia e fisica!
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